CONOSCIAMO MEGLIO I SANITARI DI CURE PALLIATIVE - La coordinatrice infermieristica Delia Lavagnolo

03/06/2022

 

"Nelle stanze dell'hospice si deve entrare in punta di piedi, chiedendo permesso".
Questa metafora indica la necessità di stare attenti alle esigenze del paziente in fase di fine vita. A
riportarla è Delia Lavagnolo, classe 1973, sposata con due figlie di 21 e 19 anni.
Infermiera professionale ha conseguito il diploma nel 1993, iniziando a lavorare nel 1994. Nel 2010
ha frequentato un master in coordinamento. Dopo un'esperienza di 27 anni nel reparto di
rianimazione all'ospedale di Asti, dal maggio 2021 è arrivata a Nizza Monferrato, dove è
coordinatrice dell'hospice e del CAVS (Continuità Assistenziale a Valenza Sanitaria) del presidio
Santo Spirito. La parte principale del suo lavoro, oltre all'aspetto socio-assistenziale, è gestire il
personale: 6 infermiere e 3 oss in hospice e 18 oss e 15 infermieri al CAVS.
L'hospice è una struttura sanitaria che accoglie i malati in fase di fine vita. Quello di Nizza ha sei posti letto che, come afferma Lavagnolo, "non sono mai vuoti".

Com'è il lavoro in hospice? La nostra "missione" è dare sollievo, prendendoci cura del paziente non solo dal punto di vista sanitario, ma anche dal lato del benessere emotivo ed esteriore. Azioni
semplici, come mettere uno smalto, possono essere importanti: bisogna invogliare i pazienti alla
cura del corpo e di sé e intrattenerli con attività, anche semplici, per evitare che trascorrino le
giornate con l'unico pensiero della malattia. In hospice non esiste un giorno uguale all'altro. Non c'è
nulla di standardizzato, tempistiche e trattamenti sono adeguati alle singole esigenze e
personalizzate. Ogni persona può presentare necessità diverse nell'arco della giornata, per questo è
necessario un tipo di approccio sia medico che assistenziale individualizzato. Bisogna avere la
giusta flessibilità per capire le esigenze. A volte un paziente ha solo il bisogno di rimanere in
silenzio, mentre in altri momenti è aperto al dialogo.

Qual è la cosa più difficile? È entrare in empatia, farsi coinvolgere ma non travolgere da tutte le
emozioni. Pazienti e familiari ripongono la loro fiducia nell'infermiera, che li supporta e cerca di
andare il più possibile incontro alle loro esigenze. L'infermiera si deve prendere carico di tutto sia
del paziente che dei familiari dal punto di vista professionale ma anche emotivo. È un reparto tosto.
Il carico umano è simile a quello che trovavo nel reparto di terapia intensiva, ma diverso è
l'approccio alla cura. Sono molto contenta di provare questa esperienza nuova che è un
arricchimento.

Parla spesso della famiglia oltre che del paziente. Perché? Quando parlo di paziente intendo un paziente all'interno di un contesto familiare: sono un tuttuno. È importante cercare di non far sentire la solitudine sia al paziente che alla sua famiglia.

Dopo Pasqua sono ripresi, dopo due anni di pandemia, le viste dei volontari in Hospice. Com'è il rapporto con loro? I volontari sono persone molto disponibili al confronto. Dopo un corso di aggiornamento sono finalmente potuti rientrare a prestare servizio. Sono figure di riferimento
importanti, capaci nell'approciarsi con pazienti e familiari. Tra di noi c'è la disponibilità di crescere
insieme: loro portano la loro esperienza nel campo del volontariato, io la propensione al confronto
e a fare le cose insieme. Questa collaborzione è una fonte di ricchezza incredibile.
Durante i lockdown quando i volontari non potevano entrare i pazienti non sono mai stati lasciati da
soli. Il personale si è preso cura di loro facendo di tutto, dalle videochiamate a cucinare per loro. Ne
è una dimostrazione il libro di raccolta di pensieri presente in struttura che raccoglie frasi e dediche
molto toccanti: gli infermieri non si sono tirati indietro in nessuna occasione.

 

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